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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

maria oana ungureanu

Quando viene trovato un cadavere, chi indaga può incorrere in un errore grossolano: scambiare una morte accidentale per un omicidio o viceversa. Ci sono casi, anche attualmente, molto dibattuti, uno dei quali è quello di Maria Ungureanu: una morte seguita ad un incidente di gioco, mentre la Procura ha ritenuto che fosse stato commesso un omicidio e per questo ha indagato due giovani, Daniel Petru e Cristina Ciocan.

Non sono nuova a questo tipo di errori, essendo consulente di Michele Buoninconti, un padre di quattro figli, in carcere da quasi due anni per un omicidio mai avvenuto: la morte della moglie Elena Ceste.

La Ungureanu nel giorno della sua morte, dopo essere stata in chiesa e poi in compagnia del giovane Daniel Ciocan, tornò a casa, cenò e uscì di nuovo per recarsi alle giostre. Poco dopo la mezzanotte, una donna trovò il suo cadavere nella piscina di un agriturismo nel centro storico di San Salvatore Telesino in provincia di Benevento. Era il 19 giugno di quest’anno.

Maria dopo aver cenato, con tutta probabilità, incontrò alle giostre alcune compagne di giochi, forse coetanee o ragazzine poco più grandi di lei, e, con loro, attraverso un’apertura nella rete, sgattaiolò nel parco dell’agriturismo per fare un bagno nella piscina, nella quale affogò per cause accidentali.

Molteplici dati accreditano questa ricostruzione:

 

maria oana ungureanu- In un’intervista televisiva, rilasciata il 6 luglio 2016, il proprietario dell’agriturismo, Antonio Romano, nonostante una certa reticenza, riferì alla giornalista di essere stato a conoscenza, prima del 19 giugno, di un buco nella rete di recinzione e del fatto che i bambini entrassero nel suo parco per giocare.

- La presenza di graffi sul dorso della bambina suggerisce che Maria raggiunse il giardino dove si trova la piscina passando proprio dall’apertura nella rete, un varco attraverso il quale erano soliti introdursi nel parco i bambini.

- Il fatto che Maria fosse completamente nuda e che i suoi abiti si trovassero raccolti su una sedia a bordo piscina depone per un denudamento volontario al fine di non bagnarsi gli abiti.

- Nulla dello stato dei luoghi in cui è stato trovato il cadavere di Maria Ungureanu richiama la scena di un crimine.

- Quella sera non faceva freddo, Maria indossava soltanto una maglietta e le piogge erano riprese solo dopo le ore 21. Se ci fosse stato freddo la madre l’avrebbe invitata a coprirsi e se fosse piovuto dopo cena non l’avrebbe fatta uscire.

L'annegamento è tra le cause di morte più diffuse

Le statistiche internazionali sulle cause di morte riportano che in 26 dei Paesi più ricchi del pianeta l’annegamento è la seconda tra le cause di morte nel gruppo di età che va dagli 0 ai 14 anni; in alcuni di tali Paesi è addirittura la prima causa di morte nei bambini tra gli 0 ed i 5 anni. In America, l’annegamento è la seconda causa di morte tra i minori di 15 anni dopo gli incidenti stradali; e nel 60-70% dei casi l’annegamento ha luogo in piscine private, SPA o vasche idro­massaggio. La mancanza di barriere di sicurezza nelle piscine private o in quelle pubbliche durante le ore di chiusura degli impianti e una sorveglianza non adeguata da da parte degli adulti sono le principali concause degli annegamenti tra i bambini.

Ursula Franco è una criminologa toscana. Si è laureata in Medicina all’Università degli Studi di Pisa; è stata ricercatrice clinica per l’Università degli Studi di Siena, di Pisa e di Buffalo, New York; ha svolto attività di medico di base nella Casa di Reclusione Isola di Gorgona (Livorno) per il Ministero di Grazia e Giustizia; ha poi conseguito un Master in Scienze Forensi con il prof. Francesco Bruno all’Università La Sapienza di Roma. Dal febbraio 2015 è consulente della difesa di Michele Buoninconti, accusato dell'omicidio di sua moglie Elena Ceste; dal luglio 2016 è consulente della difesa di Daniel Petru Ciocan e Cristina Ciocan, accusati dell'omicidio di Maria Ungureanu.

Tornando a Maria Ungureanu, rileva che la bambina non sapeva nuotare e ciò è di supporto evidente all’ipotesi della morte accidentale: se Maria fosse stata una nuotatrice provetta, ci saremmo dovuti porre maggiori domande. Affogano per cause accidentali, dunque, coloro che non sanno nuotare; nel caso di nuotatori provetti, invece, più frequentemente l’annegamento è la conseguenza di traumi cranici o dell’ingestione di sostanze psicoattive, che influenzando le funzioni sensitivo motorie e comportamentali di un individuo lo rendono più vulnerabile.

Raramente un soggetto che muore in seguito ad un annegamento è vittima di un omicidio. Nei pochi casi in cui ciò accade, a meno che non si tratti di bambini in tenera età, all’esame autoptico si rilevano non solo i segni di un annegamento ma anche traumi cranici, segni di strangolamento, traumi compressivi toracici, contusioni, fratture, ferite ed abrasioni. Non solo: gli autori di omicidi per annegamento lasciano sulle loro vittime i segni di un’aggressione che sono facilmente rilevabili all’esame autoptico; e anche le vittime, nell’atto di difendersi, lasciano segni sull’autore del delitto.

Dunque, difficilmente in mancanza di dati autoptici riferibili ad una colluttazione un medico legale può affermare che un soggetto morto in seguito ad un annegamento sia stato vittima di un omicidio.

Se venisse confermata l’indiscrezione che vuole Maria vittima di abusi sessuali, in ogni caso gli abusi sarebbero pregressi, non contestuali alla morte; e pertanto non possono ritenersi il movente di un omicidio e mancando il movente non è difficile ritenere che un omicidio non c’è stato. L’ipotesi del tentativo di violenza sessuale scaturito in un omicidio è insostenibile se non supportata da dati medico legali incontrovertibili.

Secondo la casistica criminologica, un pedofilo molestatore che ha la possibilità di abusare cronicamente di una bambina difficilmente la sopprimerebbe: i predatori sessuali violenti più facilmente uccidono colpendo i bambini con le mani nude o strangolandoli e di sicuro non vanno alla ricerca di una piscina dove affogare le proprie vittime.

Nella maggior parte dei casi i pedofili molestatori approcciano le loro vittime attraverso manifestazioni di affetto o di generosità o agendo molestie apparentemente innocue camuffate da giochi; solo gradualmente conducono i bambini verso gli abusi veri e propri: per questo motivo le vittime degli abusi cronici non vivono l’abuso in modo immediatamente traumatico a causa dei meccanismi manipolatori messi in atto dal molestatore; e nella stragrande maggioranza dei casi non rivelano a nessuno di essere sottoposte a molestie né si ribellano né minacciano né denunciano, purtroppo, il proprio carnefice. Non solo i bambini non sono in grado di decifrare il significato di ciò che subiscono, a causa della loro immaturità e della gradualità con la quale vengono sottoposti agli abusi, ma temono anche di non venir creduti o possono essere pervasi da un senso di colpa o dalla vergogna, che impedisce loro di rivelare le violenze subite, e spesso anche dal timore di perdere un adulto significativo per la loro esistenza. Per questo più difficilmente i bambini riferiscono di aver subito abusi dai familiari più stretti da cui dipendono emotivamente ed economicamente.

In conclusione, il 19 giugno 2016 Maria, poco dopo le 20.30, si recò nel giardino dove trovò la morte semplicemente per fare un bagno; emulando le compagne di gioco, si spogliò e si gettò nelle acque della piscina, dove affogò. Ciò che ha portato fuori strada gli inquirenti è il fatto che, con tutta probabilità, sul cadavere della bambina sono visibili i segni di pregressi abusi sessuali, dato che li ha indotto a ritenere che la sua morte fosse collegabile a quelle violenze, mentre, invece, la morte della Ungureanu e le violenze sessuali che aveva subito in precedenza sono da ritenersi due fatti ben distinti. È semplicemente un caso che sia morta una bambina sulla quale sono stati rilevati all’esame autoptico i segni di un pregresso abuso sessuale.

Il caso della Ungureanu ricorda da vicino quello dei due fratellini di Gravina in Puglia, Francesco e Salvatore Pappalardi, che morirono in fondo ad un pozzo di una casa abbandonata. I loro compagni di gioco non chiamarono i soccorsi e tacquero nonostante fossero a conoscenza delle loro sorti; tacquero anche dopo l’arresto del padre dei due bambini, Filippo Pappalardi, il quale fu scarcerato solo dopo che il caso volle che un altro bambino cadesse nel pozzo e durante le operazioni di recupero venissero ritrovati i poveri resti di Francesco e Salvatore Pappalardi.