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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

antonio ciontoliI cinque anni ad Antonio Ciontoli per l’uccisione di Marco Vannini sono il massimo della pena per omicidio colposo. L’emotività fa gridare allo scandalo, perché la morte violenta di un giovane non può essere pagata a così misero prezzo. L’erogazione delle pene, tuttavia, va fatta processualmente secondo precisi parametri stabiliti dal codice penale, con margini ristrettissimi di discrezionalità per i giudici; ma anche da questo punmto di vista la sentenza è stata generosa.

Il bailamme di alcune trasmissioni televisive insiste sui misteri di ciò che realmente accadde la sera del 14 maggio 2015 a Ladispoli in casa Ciontoli, dove Vannini fu ferito mortalmente con un colpo di pistola. La ricostruzione non è delle più lineari, basata com’è sulle dichiarazioni contrastanti di quanti si trovavano nell’abitazione e più o meno ebbero perciò la consapevolezza di ciò che era accaduto. La richiesta di soccorso non fu tempestiva e ci si adoperò per tentare di nascondere che era stato esploso il colpo di arma da fuoco. Se la verità fosse emersa subito, Marco poteva essere forse salvato, forse no.

 

Evidente appare che quei meccanismi di autodifesa poterono scattare poiché mancò la consapevolezza della gravità delle condizioni del giovane: se la ferita fosse stata superficiale, come sembrava, sarebbe stato possibile tamponarla e medicare e non staremmo ancora oggi a discutere dell’incidente. Ma sulla valutazione processuale di tutto ciò va detto, come vedremo, di più.

Nessuno voleva ammazzare Marco Vannini

Mai è emerso che alcuno in casa Ciontoli volesse ammazzare Marco Vannini. L’ipotesi fantasiosa dell’omicidio volontario (reato per il quale il Ciontoli era stato condannato l’anno scorso a quattordici anni) non solo non è sorretta da alcunché, ma pure contrasta con qualsiasi valutazione criminologica: senza addentrarsi in altri dettagli, basta tener presente che in quella casa se avessero voluto uccidere non si sarebbero affrettati a praticare medicazioni.

La sentenza di primo grado presentava in senso tecnico alcunché di aberrante, non tanto per l’entità della pena quanto per la classificazione del reato; alla sua formazione avevano evidentemente concorso giudici popolari influenzati dalle martellanti campagne mediatiche che volevano in galera presto e subito gli imputati.

Fermo dunque che l’omicidio fu involontario, corretta appare la riformulazione del reato da parte della Corte d’Assise d’appello di Roma: condanna sì, ma per omicidio colposo.

L’incredulità dell’opinione pubblica, però, ha un fondamento rilevante per l’esiguità della pena. Vero è che cinque anni sono il massimo previsto dall’art.  589 del codice penale, ma la misura edittale può essere aumentata o ridotta, anche di molto, tenuto conto delle qualità e dei comportamenti dell’imputato. Così è sempre accaduto per casi di incidenti stradali mortali e accade ancor di più oggi dopo l’introduzione del reato di omicidio stradale.

Il codice prevede anche l'aggravante

A sparare accidentalmente non era stato un cretino o sprovveduto, ma un sottufficiale della Marina che addirittura lavorava nei servizi segreti. Quando si tratta di incidenti con le armi non c’è da meravigliarsi, ma che alcuno, addirittura presumibilmente esperto, possa giocare con pistole e proiettili è vergognoso e criminale: chi infrange solamente il divieto di sicurezza di ostentazione di armi va, infatti, giustamente punito anche se non colpisce alcuno. Chi detiene un’arma ha la consapevolezza della sua pericolosità estrema. Se la estrae, la punta contro alcuno e preme sul grilletto prevede che può anche uccidere. Eppure la prevedibilità non è un’aggravante ma solo un elemento costitutivo del reato: il codice stabilisce infatti che l’omicidio “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Ecco che la Corte, nel condannare, ha tenuto conto di una serie di fatti assai significativi. Ma l’art. 61 del codice penale chiarisce anche che “l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento” costituisce una aggravante. L’art 64 aggiunge poi che “Quando ricorre una circostanza aggravante, e l'aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso”. Per questi motivi la discussa sentenza è generosa.