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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

mario ciancioIl sequestro del quotidiano “La Sicilia” di Catania eseguito oggi dai carabinieri su provvedimento della magistratura è una svolta eclatante, ma per nulla curiosa, nella storia controversa di un giornale che nel bene e nel male dal 1945 ha gestito nell’isola l’informazione in condizioni di incontrastato monopolio. Negli anni novanta il potente direttore-editore, Mario Ciancio, la dava anche vinta alla mafia limitando la libertà di informazione.

Il clima che respiravamo i cronisti di nera era inquietante. Pochi minuti dopo l’uccisione di Giuseppe Fava, la sera del 5 gennaio 1984, c’erano state oscure frenesie per prendere il delitto sottogamba e avvalorare subito l’ipotesi che il giornalista fosse stato assassinato per questioni di donne. Seguirono tentativi di depistaggio senza pudore e “scoop” che avevano solo l’effetto di bruciare testimoni importanti. Ma c’era di più: una indagine dei carabinieri permise anche infatti di scoprire che Fava era stato seguito dalla sede del suo giornale al luogo dell’agguato – davanti al Teatro Stabile – da un’auto risultata di proprietà del cronista che fu incaricato di scrivere i servizi sul delitto.

 

Come ricordato cinque anni fa da Meridionews, nel 1987 conducevo per il giornale una inchiesta sulla mafia a Catania e provincia, voluta dal direttore, che la annunciò in 72 pagine, che sarebbero uscite due volte la settimana. L’inchiesta fu poi recepita dalla commissione parlamentare antimafia. I miei servizi portarono all'apertura di inchieste giudiziarie o alla loro riapertura, a carico di malavitosi e anche personaggi con importanti ruoli di potere. Alla quarantottesima pagina del lavoro però il giornale, che non aveva mai ricevuto alcuna smentita, mentr’ero oggetto di minacce, cominciò improvvisamente a pressarmi perché concludessi subito anticipatamente quella inchiesta per ragioni editoriali che non mi furono mai spiegate. Al mio rifiuto seguirono danneggiamenti gravi da parte di Cosa Nostra, ma il giornale non volle darne notizia e lo fece solo a distanza di parecchi giorni solo a seguito di una espressa richiesta del magistrato, il quale opportunamente riteneva che la mancata presa di posizione da parte del quotidiano mi stava esponendo a rischi imminenti di uccisione o di fatti letali a danno di miei familiari e congiunti prossimi e lontani.

La direzione de “La Sicilia” chiuse comunque frettolosamente l’inchiesta dandola vinta praticamente alla mafia.

Alla luce di questi episodi, che sono solo un piccolo esempio di fatti risultanti in atti giudiziari, può stupire che la redazione del giornale abbia assunto anni fa la difesa di Mario Ciancio quando è cominciato a suo carico il procedimento per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma c’è poco di che stupirsi: anche l’Ordine dei Giornalisti, infatti, si è schierato in passato sulla stessa linea, pur essendoci in Consiglio Regionale un cronista che il direttore aveva chiamato avanti a sé per rivelarne il nome e mostrarne il volto a un capomafia.