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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Notte di Sigonella

Mancava poco all’alba dell’11 ottobre 1985 quando a Sigonella, insieme col fotografo Benedetto Spada, scampai al fucile puntato di un aviere che mi aveva scoperto all’interno della base militare, dove a mezzanotte ero riuscito a introdurmi aggirando gli schieramenti di sicurezza e a osservare a soli cinquanta metri di distanza il confronto armato italo-americano attorno all’aereo egiziano con terroristi a bordo “atterrato” da quattro F-14.

La drammatica vicenda, passata alla storia come “la notte di Sigonella”, conseguenza del dirottamento terroristico della nave Achille Lauro, mi coinvolse in uno scenario inquietante. Pochi minuti prima della mezzanotte del 10 un alto ufficiale, coinvolto con incarichi di comando, mi avvertì di ciò che stava per accadere da lì a poco.

Mani alzate all'alt dei militari americani e italiani

Feci armare di teleobiettivi e cannocchiali il fidatissimo fotografo. A Sigonella le strade che costeggiano le basi erano chiuse da transenne. Si udiva fortissima una sirena e da un casotto uscivano militari correndo. Al primo posto di blocco c’erano militari americani, con i fucili a pompa Winchester che agitavano in mano tenendo nell’altra una bottiglia di birra. Mi parvero e senz’altro erano ubriachi. Gridavano facendo cenno di andar via, con ampi gesti eloquenti. Alzammo entrambi le braccia, ma riuscii a mostrare il tesserino di giornalista a una donna di colore in uniforme, con mostrine che nemmeno decifrai. Non so come e perché, ma quella donna alzò la sbarra e ci lasciò passare con l’auto.

 

Non ce l’avevamo però fatta. Più avanti, infatti, un altro sbarramento. Da una garitta un militare ci puntò col fucile gridando di allontanarci immediatamente. Era un aviere catanese. Mi riconobbe subito e potemmo parlamentare. Non era ubriaco di birra, ma di stanchezza e di fame. “Dovevo smontare alle 18 – mi disse – ma non ho avuto il cambio e sto crollando”. Aveva finito anche le sigarette; gliene mollai uno dei pacchetti di cui settimanalmente mi riforniva un certo “Giappone” ed ebbimo via libera: bastava che lasciassimo lì l’auto e proseguissimo a piedi fino a un canneto e al recinto di filo spinato attraverso il quale avremmo potuto introdurci nella base senza essere visti. Così fu. I miei informatori erano peraltro irraggiungibili e non avevo altra scelta.

Ci incamminammo a passi felpati. L’atmosfera era surreale ed ero ben conscio dei pericoli che stavamo correndo: eravamo degli intrusi; e in situazione di massima emergenza militare non ci sono nemmeno avvertimenti, si spara a vista. Ma, abituato com’ero all’impatto con i più feroci ambienti criminali e mafiosi, non avevo paura: la notizia e i fatti, visti con i miei occhi, erano per me al di sopra di qualsiasi altra cosa, persino della vita.

A Catania erano tutti sprofondati nel sonno, come nel resto dell’Italia; a Sigonella, invece, stava per scatenarsi una guerra.

"Fermi o sparo!": stavamo per finire trucidati

Per diverse ore seguimmo in diretta e documentammo il confronto armato fra americani e italiani che si contendevano i terroristi catturati. All’improvviso un “Fermi o sparo!” mi fece gelare. Era un aviere che ci puntava dall’alto di una garitta. Mai come allora ebbi l’impressione che per me fosse finita, stecchito. Mi bloccai a mani alzate. Benedetto Spada, invece, puntò verso l’aviere il teleobiettivo gridando “Abbassa quel coso che ti scatto una foto”. Non pensavo a nulla. Mi convinsi di avere ormai pochi secondi di vita. Invece il militare, inaspettatamente, abbassò il fucile e forse addirittura si mise in posa. Per due volte si ripetè la stessa scena, che comunque non ci impedì di allontanarci sani e salvi per cercare di guadagnare il recinto della base.

Finimmo in una coltivazione di carciofi e poi in un palmento dove stavano macinando l’uva per il mosto; e da lì in un muraglione col filo spinato che ci separava, in alto, dalla strada. Quando lo varcammo, ed erano ormai le 9, ci trovammo proprio davanti a una gazzella dei carabinieri e venni alle mani con un appuntato che si era avventato contro la macchina fotografica di Benedetto Spada; ma non riuscì a strappargliela e dovette desistere, perché eravamo in un luogo pubblico.

Nella mattinata il redattore capo, che era rimasto ovviamente a dormire, com’era giusto, e non aveva visto perciò nulla, avanzò perplessità sul mio racconto: “Vuol fare scoppiare – mi disse – la terza guerra mondiale?”.

Verso le 11 cominciarono ad arrivare a Sigonella altri giornalisti, mentre io ero già a scrivere i servizi che all’indomani sarebbero usciti in prima pagina, con titolo a nove colonne, come si usava allora, sul giornale.

"La Sicilia" senza i cronisti di una volta

A distanza di 35 anni proprio il quotidiano “La Sicilia” ha ricordato oggi la “notte di Sigonella”, ripubblicando la foto di una prima pagina di quell'ottobre 1985: grande merito, perché oggi non ci sono più i cronisti di una volta, sostituiti da modesti passacarte; fossero attenti, completi e soprattutto corretti avrebbero dovuto ricordare infatti che fui io allora, Salvo Bella, a rischiare la vita per realizzare quei servizi esclusivi che hanno invece riproposto omettendo la mia firma.