Questo sito utilizza cookies tecnici propri e cookies di profilazione di terze parti. Continuando la navigazione accetti.    MAGGIORI INFORMAZIONI

 

Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

acudipa“La sfida educativa non si vince da soli…”: sono le parole di una mamma, che dal dramma della perdita di suo figlio può trasferirci la migliore lezione di vita.

L’essere umano, in un’epoca in cui avverte il peso della propria fragilità e non sa reagire, non sa trovare la propria strada, si sente solo e non trova la via per esprimere se stesso senza vergogna.

La vera sfida è proprio collaborare per offrire risposte a chi da solo non le trova.

L’impressionante caso dello studente che si è ucciso in Liguria durante una perquisizione in casa da parte della Guardia di Finanza ha suscitato sconcerto e polemiche. La tragedia è scaturita da una vicenda di droga leggera alla quale pare che il ragazzo si fosse accostato nell’ambiente scolastico, senza che la madre riuscisse a dissuaderlo, al punto da convincersi di poter raggiungere il suo benevolo intento con una iniziativa di tipo poliziesco. Era stata infatti la madre a chiedere l’intervento della Finanza, un gesto che a guardar bene, vista la sua natura repressiva, lascia molti dubbi su un certo tipo di “amorevolezza”. Nell’intreccio di perplessità e di critiche primeggia la convinzione che con un aiuto appropriato di tipo educativo sarebbe stato possibile evitare questo epilogo che fa rabbrividire. Sono molti gli organismi che operano utilmente in tali materie. Abbiamo chiesto ad Acudipa, associazione no profit che si occupa di prevenzione da dipendenze patologche, un contributo sull’aiuto che i giovani stessi possono ottenere nel modo più semplice.

Dalla cronaca di Lavagna ai banchi di scuola, come insegnante quotidianamente a contatto con ragazzi dai 13 anni in su, come amica di donne con figli adolescenti e non solo, mi interrogo: non tanto su cosa è cambiato - questo è sotto gli occhi di tutti e non possiamo porvi un freno -; piuttosto mi interrogo su cosa possiamo fare. “Noi genitori dobbiamo capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere una facciata. Non c’è vergogna se non nel silenzio. Uniamoci, facciamo rete”, ha aggiunto questa mamma. “In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi”, ha detto la madre ai ragazzi durante i funerali. Appunto: come possiamo aiutarci?

A volte le risposte ci sono ma non le vediamo.

Spesso assistiamo inermi alle conseguenze negative dello sviluppo della tecnologia. Più spesso siamo noi stessi artefici di una diffusione capillare, che non conosce tempo e spazio, e annulla il resto. Ancora più spesso in essa ci rifugiamo e mentre lo facciamo cambiamo il nostro modo di essere, tutti, grandi e piccoli. Ed è in questa epoca di stravolgimenti sociali che, a un’insegnante come me, verrebbe facile demonizzare la tecnologia, in modo particolare internet e i social, dove tutti ci nascondiamo. Mentre lo sconforto spesso prende il sopravvento, in questi giorni ho scoperto una strada, uno strumento tecnologico appunto, che invece di allontanare può avvicinare, che invece di costituire un luogo buio può essere un porto sicuro per tanti ragazzi, e, perché no, per noi adulti. C&G si chiama la app creata da un gruppo di specialisti nel campo educativo-sanitario che offre un canale concreto per chi - e in special modo per i giovani - si pone domande, è attanagliato da dubbi o è preda delle proprie fragilità. Ho scaricato dal mio app-store la app e l’ho sperimentata di persona. Ho trovato immediatamente dall’altra parte un team di operatori esperti che hanno risposto alle mie domande in modo professionale.

In un attimo mi sono resa conto della potenza di questo strumento: zero disagio, zero costi, massima riservatezza e proprio sul cellulare ecco qualcuno che dopo averci ascoltato può darci un suggerimento, dirci una parola che stimola l’agire positivo. Quale mezzo migliore per entrare in contatto con i nostri ragazzi che sfuggono gli sguardi, se non quello di captare la loro attenzione con il loro rifugio prediletto? E intanto li aiutiamo!

“Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella, invece di nascondersi dietro frasi preconfezionate”: continua così la mamma di Lavagna.

Se non ci riusciamo a parole, perché non provare a dirglielo in chat?

Spesso le famiglie e la scuola si rendono conto che per le nuove generazioni è diventato difficile esprimere se stessi, le proprie emozioni; forse si teme il giudizio altrui; forse la società di oggi è troppo giudicante.

Qualcuno ha pensato bene di offrirgli un canale diverso. Che permetta loro di non sentirsi giudicati. Perché non proporglielo? Magari funziona! Magari qualche nostro ragazzo riesce ad aprirsi come non riesce a fare con noi.