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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Francesco CarboneDenunce insabbiate su appalti illecitii, mafia di Stato e associazioni per delinquere nelle istituzioni: sembrano ingredienti di un film poliziesco, ma invece è il tema caldo di una battaglia che un palermitano, Francesco Carbone, 41 anni, conduce dal 2008. “Archiviano sistematicamente tutto ma nessuno - dice - mi vuole processare per calunnia”.

Dal 2001 al 2008 Francesco Carbone fu dipendente di una impresa espletante il servizio postale in appalto al Centro Meccanograiuco di Verona. In quegli anni e in quel contesto scoprì numerose anomalie e cominciò a denunciarle alla guardia di finanza. Non erano, come ricorda, chiacchiere, ma fatti, che suffragava anche con documenti, foto e video, inerenti presunti illeciti per evasione fiscale, lavoro in nero, carenze nella igiene e nella sicurezza.

 

Secondo Carbone, in tutte le città c’è “un sistema mafioso degli appalti postali milionari, finanziati dal governo, a società srl, arl, consorzi di ditte individuali, cooperative senza alcun capitale o capitali bassissimi, società spesso vicine a illustri personaggi delle istituzioni. Tali ditte operano nella totale illegalità, sicure che nessuno controlli, anche se denunciate”.

Si parla di vicende, in sostanza, esplosive. Ben presto Carbone si è reso conto tuttavia che le sue denunce vengono archiviate. Con il motto “il coraggio di denunciare” ha aperto una pagina su Facebook, nella quale documenta cronologicamente le sorti delle sue iniziative giudiziarie. Nel suo mirino, accusati per favoreggiamento ma anche associazione mafiosa, sono finiti personaggi eccellenti, a partire dall’on. Angelino Alfano quand’era ministro della Giustizia per passare all’ex capo della Polizia Ferdinando Masone, ministri e parlamentari, procuratori capo della repubblica e altri magistrati, funzionari di ministeri e del consiglio superiore della magistratura, dirigenti dell’ispettorato del lavoro, di Poste Italiane, della Cgil e di Asl. Va chiarito che nei confronti di nessuno s’è dato luogo a procedere, secondo Carbone perché “c’è un sistema mafioso all'interno della magistratura che sabota e depista denunce e processi per proteggere i mafiosi di ogni rango sociale”.

“La testa della Piovra - sostiene Francesco Carbone - è nelle istituzioni. I vostri paladini che fanno antimafia e si definiscono grandi giornalisti, scrittori, politici o magistrati antimafia vi parlano di fantomatici colletti bianchi senza nomi. Io invece faccio nomi e cognomi. Associazioni antimafia, giornalisti nazionali, politici che si autoproclamano onesti, scappano come conigli appena faccio loro visionare denunce, documenti e prove”.

La battaglia di Francesco Carbone contro il presunto malaffare di Stato è dagli sbocchi imprevedibili. A maggio, in occasione della commemorazione della strage di Capaci, ha manifestato davanti al palazzo di giustizia di Palermo striscioni e cartelloni subito portati via da agenti della Digos, poi denunciati per furto. “Voglio – continua a chiedere – un processo”. Al momento, però, non risulta che siano stati intrapresi procedimenti per calunnia a carico di questo singolare personaggio, che non manifesta l’intenzione di arrendersi.