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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

violenza fra viciniIl bullismo del cosiddetto vicinato sfugge ancora a una specifica valutazione anticrimine, pur essendo all’origine di molti omicidi. Il problema del bullismo nelle scuole - che esiste da sempre - è stato finalmente riconosciuto come tale e ha ricevuto, e riceve ancora, per fortuna, molta attenzione, ma nessuno si accorge, però, del fenomeno in un certo senso analogo tra gli adulti, sebbene si manifesti spesso con fatti gravissimi.

Quando si parla di buon vicinato o di cattivo vicinato si pensa subito che ci si trovi di fronte a piccoli contrasti tra vicini di casa o tra condomini, la cui convivenza non è pacifica per ragioni futili. In verità, il fenomeno è molto più complesso e più grave di quello che appare o di quello che molti possono intuire. Spesso, all'interno di un vicinato, c'è un soggetto o un nucleo familiare più debole che viene fatto oggetto di continue angherie, vessazioni da parte di un altro soggetto o di un altro nucleo familiare più forte e prepotente.

 

Di frequente, accade pure che il soggetto debole non solo non trova la solidarietà degli altri vicini, ma proprio perché debole e indifeso diviene il bersaglio di tutti e gli altri vicini “danno man forte” al bullo del quartiere.

Il bullo (o i bulli che compongono il nucleo familiare forte) inizia a disturbare il soggetto o il nucleo familiare più debole con piccoli dispetti, che, talvolta, non costituiscono di per sé neppure fatti di reato e poi, a poco a poco, diventa sempre più violento ed aggressivo fino a commettere atti gravi.

Un disegno di legge

DEI DELITTI DI PERSECUZIONE NEL VICINATO

Art. 1 Atti persecutori nel vicinato.

Chiunque commette il reato di cui all'art. 612 bis c. p. nell'ambito di un vicinato è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Il delitto è perseguibile d'ufficio.

Art. 2. Circostanze aggravanti.

La pena è della reclusione da uno a otto anni quando:

  1. a) il fatto è commesso nei confronti di un soggetto o di un nucleo familiare nel quale anche uno solo dei componenti, a causa di una malattia, fisica o psichica, dell'età o di una qualsiasi altra ragione, si trovi in una condizione di minorata difesa;
  2. b) il fatto è commesso da due o più persone;
  3. c) il fatto è commesso avvalendosi dell'opera di un minore o di una persona che, a causa della sua infermità, sia soggetto non imputabile;
  4. d) il persecutore istiga terzi soggetti a commettere il reato di cui all'articolo precedente;
  5. e) il persecutore si avvale della forza intimidatrice derivante dalla sua condizione di condannato per un reato o da una qualsiasi altra circostanza idonea ad incutere timore per costringere la vittima a subire gli atti persecutori.

Art. 3. Allontanamento dal vicinato.

Il giudice, dopo la denuncia, su richiesta del pubblico ministero o della parte offesa o di un familiare di quest'ultima, dispone, entro 48 ore dalla richiesta medesima, che l'indagato o l'imputato sia immediatamente allontanato dal luogo in cui si commettono gli atti persecutori.

Prima e dopo l'allontanamento è fatto divieto assoluto all'indagato o all'imputato di avvicinarsi alla persona offesa ed ai suoi familiari o di frequentare i luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi familiari.

Art. 4. Sequestro e divieto di dimora.

Se, a seguito della denuncia, l'indagato o l'imputato o uno dei suoi familiari o un terzo soggetto compiono nei confronti della parte offesa o dei suoi familiari minacce o atti di ritorsione o qualsiasi atto che sia inteso come una ritorsione, su richiesta del pubblico ministero, della parte offesa o di uno dei familiari di quest'ultima, il giudice dispone a carico dell'indagato o dell'imputato o dei suoi familiari il divieto di dimora nel Comune in cui risiede la parte offesa per almeno cinque anni.

Nei casi indicati al comma 1 il giudice dispone altresì il sequestro dell'abitazione dell'indagato o dell'imputato se di proprietà di quest'ultimo o di un suo familiare.

Il giudice procede ai sensi del comma precedente anche quando l'immobile sia fittiziamente intestato ad un terzo.

Art. 5. Confisca e divieto di dimora.

Dopo la condanna è immediatamente disposta la confisca dell'immobile in cui abitava l'imputato ed i suoi familiari se di proprietà degli stessi o fittiziamente intestata ad un terzo.

Il giudice dispone, altresì, il divieto di dimora nel Comune in cui risiede la parte offesa per un tempo non inferiore a sette anni.

 

La cronaca ci insegna come si possa addirittura arrivare ad uccidere barbaramente.

In proposito, viene subito in mente la strage di Erba. Purtroppo, però, questa strage non è stata e, sicuramente, non sarà un fatto isolato.

“L'omicidio del vicino di casa” si è verificato e si verifica spesso, più di quanto si immagini. Gli esempi che si possono fare sono, purtroppo, numerosi: tempo addietro in Puglia una donna è stata assassinata, mentre aspettava il figlio alla fermata dell'autobus, da un vicino di casa con cui non andava d'accordo. In Calabria, a Vibo Valentia, un anziano ed i suoi figli hanno ucciso due vicini di casa con i quali da lungo tempo litigavano per questioni di confine.

Sempre a Vibo Valentia è stata compiuta una strage da parte di un uomo - reo confesso - che ha sterminato una intera famiglia, dopo avere subito abusi e prepotenze per anni. Sempre in Calabria, qualche anno fa, a Tropea, un uomo ha ucciso il vicino perché il cane abbaiava continuamente e sporcava nelle vicinanze della propria abitazione.

Una giovane donna, che si occupava di delfini, è stata ammazzata da un ragazzo che viveva nel suo condominio, il quale si sentiva infastidito dal cane della vittima. Di recente è accaduto un fatto analogo a quelli che sono stati menzionati nella regione Basilicata, per la precisione a Potenza.

Questi sono alcuni degli esempi di morti violente provocate dalla mano “dell'assassino della porta accanto”.

Sicuramente nessuno più conserva memoria di questi fatti. Molti episodi di brutali aggressioni fisiche o di omicidi tra vicini di casa, infatti, vengono presto dimenticati o, addirittura, non destano alcun interesse sin dall'inizio. Rimane traccia nella memoria collettiva solo di eventi di cui la stampa si è occupata in modo ossessivo per un periodo più o meno lungo. Quando la stampa tace, oppure fornisce la notizia in modo frettoloso, la gente dimentica o non presta neppure attenzione a ciò che sente.

Nella stragrande maggioranza dei casi è la persona che subisce le angherie a divenire la vittima dell'assassinio. L'aguzzino, infatti, non di rado, completa la sua opera distruttiva con l'annientamento fisico della vittima.

Qualche volta, però, è anche la vittima che, esasperata da continue angherie, dopo anni di silenzio e di sopportazione, in un momento di follia e di disperazione, uccide il suo persecutore. Molti anni fa un uomo, infatti, che veniva continuamente insultato e deriso davanti agli altri da un suo collega di lavoro, in un momento di esasperazione, ha accoltellato il suo persecutore.

La costante, quotidiana e difficile convivenza alimenta il più delle volte forti sentimenti di odio e di rancore ed essi, se non dominati e senza il valido aiuto di un soggetto esterno, possono generare desideri di vendetta e rendere cattivo ed aggressivo anche un individuo solitamente considerato buono.

La società odierna ha, purtroppo, dimenticato che esistono le debolezze umane; non si ha più coscienza del fatto che esistono la cattiveria, la perfidia, la capacità di odiare e di desiderare il male altrui.

Spesso si parla di follia per giustificare la crudeltà con cui molte volte si commettono gli omicidi. In verità, la follia il più delle volte è estranea a certi soggetti, i quali sono o diventano semplicemente degli esseri malvagi. Se non si prende coscienza del fatto che la malvagità umana non è un concetto che appartiene ai mostri mitologici creati dalla fantasia, non si combattono certi fenomeni di violenza e di sopraffazione.

Le leggi sono sicuramente inadeguate. Spesso la vittima non si rivolge alla giustizia perché è ben consapevole del fatto che ciò la esporrebbe a terribili ritorsioni. La lungaggine dei tempi della giustizia e la inadeguatezza delle leggi penali priva inoltre la vittima di qualsiasi difesa e la espone a gravi ingiustizie.

Per rendere bene l'idea di questo fenomeno è utile fare un esempio. Si pensi alla minaccia (art. 612 c.p.), che è un reato considerato minore, non grave. Quando la minaccia è semplice, infatti, è punita con la semplice multa ed è perseguibile a querela. Orbene, se la minaccia è un episodio singolo, isolato, col tempo la vittima non sente più neanche il bisogno di ottenere giustizia; il fatto a poco a poco si dimentica ed anche il reo placa la sua ira ed il suo sentimento di odio. Quando, però, la minaccia si inserisce in un contesto ampio di quotidiane violenze e sopraffazioni, di vera e propria persecuzione, la minaccia non è più un fatto trascurabile. In questi casi la minaccia è sempre il preludio di qualcosa di grave: assai di frequente è l'anticamera di un feroce omicidio.

Per proteggere adeguatamente la vittima non è assolutamente sufficiente instaurare un processo penale che, generalmente, dura sette anni. Durante lo scorrere del tempo necessario per giungere ad una sentenza, la vittima corre il serio pericolo di essere annientata.

Il destino della vittima, però, non è più felice neanche se riesce a sopravvivere e a vedere l'esito del processo: spessissimo quando si arriva alla decisione o ci si avvicina alla conclusione del giudizio il reato è già prescritto ed il reo si sottrae così alla condanna.

Quale può essere poi la sorte della parte offesa dopo che il suo persecutore è rimasto privo di punizione?

Maria Clausi

MARIA CLAUSI è giudice onorario alla sezione penale del Tribunale di Catanzaro. Laureata in legge nel 1998, è studiosa di diritto e autrice di apprezzati romanzi.

Occorrono, dunque, misure efficaci; è necessario innanzitutto che il persecutore, il bullo del vicinato, sia allontanato dalla vittima in modo definitivo.

Come può la vittima di un'aggressione fisica o di una minaccia di morte, in un contesto di atti persecutori, continuare a vivere nello stesso posto in cui vive il suo aguzzino? Come può farlo dopo che ha denunciato il suo aggressore e questi minaccia ritorsioni?

Il fenomeno è allarmante, ma praticamente ignorato. Bisogna prendere coscienza di questa realtà drammatica e offrire soluzioni valide.

La pena, come vuole la Costituzione, deve avere una funzione rieducativa e non punitiva. Tuttavia, se non c'è pena (perché non è vero che c'è incertezza della pena; la pena è certa, ma spesso non è sofferta) non ci può essere neppure rieducazione.