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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

RisLa condanna del noto genetista prof. Vincenzo Pascali (diciotto mesi di reclusione inflitti dal tribunale di Salerno) per falso in perizia suscita domande inquietanti sulle modalità di acquisizione del Dna, del rilievo di profili genetici e dell’attendibilità ai fini delle sentenze di colpevolezza o innocenza di un imputato: questioni specialistiche che vedono frequentemente contrapposti i periti, come nel caso di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. La sentenza a carico del prof. Pascali è legata, com’è noto, alle indagini sull’omicidio di Elisa Claps, sparita nel 1993 a Potenza e ritrovata cadavere nel 2010 nel sottotetto di una chiesa.

Sviluppo beffardo di indagini lacunose

Può essere lo sviluppo beffardo delle lacune che ci furono per molti anni da parte degli inquirenti su un caso che, come s’è potuto capire solo a distanza di molti anni, evidenziava sospetti rilevanti ma stranamente sottovalutati su Danilo Restivo, poi condannato definitivamente a trent’anni. Ma erano solo deficienze oppure qualcuno copriva l’assassino in base a poteti amicizie in politica? A questa domanda ha risposto una sentenza che ha assolto il pm che dirigeva le indagini.

Su quei dolorosi enigmi, però, s’è poi anche aggiunto il sospetto che alcuno in ambienti ecclesiastici avesse nascosto una tragica verità che conosceva o che addirittura potesse essere implicato nel delitto; e pure che le indagini potessero essere state depistate sul Restivo per tenere al riparo altri. Tutte fandonie, anche queste.

Il prof. Pascali era stato incaricato della perizia su numerosi elementi raccolti in corso di sopralluogo al momento del rinvenimento del cadavere e in particolar modo su alcuni indumenti dell’uccisa. La sua relazione fu ritenuta lacunosa e duramente criticata, cosicché si andò a una seconda perizia, affidata al tenente colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, e al maggiore Andrea Berti, comandante della sezione biologica del Ris di Roma. Essi scoprirono un profilo genetico compatibile con il dna di Danilo Restivo in un maglione di lana che Pascali aveva scartato perché di scarsa qualità analitica da non poter essere coerentemente interpretato.

Nucleare e mitocondriale: il mistero del caso Bossetti

La dott. Agnesina Beatrice Pozzi, medico che si batte per l’innocenza di Massimo Bossetti, esprime delle considerazioni ricollegandosi anche a ciò che è accaduto nel processo per la morte di Yara Gambirasio.

“Questa notizia – ci dice riferendosi al caso del prof. Pascali - mi fa piacere per un semplice motivo o forse due: se i Ris hanno trovato il Dna di Restivo, di certo non possono aver trovato il suo Dna nucleare (perché si degrada entro 15 giorni normalmente, figuriamoci su un cadavere in putrefazione) ma esclusivamente il mitocondriale; e questo sarà un precedente importantissimo perché se il mitocondriale è valido per condannare deve essere valido soprattutto per assolvere (anomalia Dna Ignoto e non corrispondenza col mitocondriale di Bossetti); in secondo luogo, com'è possibile che un genetista famoso come Pascali cerchi solo il nucleare (dovendo ben sapere che dopo tanti anni non potrà trovarne) e non anche il mitocondriale? In terzo luogo, se l'accertamento era irripetibile fu eseguito alla presenza di un magistrato? Infine, ma non per ultimo, i casi son solo due: o era falsa la perizia di Pascali o è falsa quella rifatta dai Ris recentemente! Tertium non datur”.

Per non sbagliare occorrono team di esperti

Va subito chiarito che Pascali non è l’ultimo arrivato, anzi: è un luminare di indiscussa competenza a livello mondiale. Come si può spiegare allora questa incresciosa vicenda? L’abbiamo chiesto al biologo forense e criminalista dott. Eugenio D’Orio.

“Il cuore della faccenda - dice il dott. D’Orio - è nei quantitativi di Dna utili per ottenere un profilo genetico di 15/17 loci con kit normalmente in uso riportati nella relazione. Tale quantità indicata (10-20 nanogr) è normalmente idonea; tuttavia, specie nel caso specifico, la qualità del Dna oggetto di indagine era di certo non pregievole visti gli anni trascorsi e le modalità di conservazione. Dunque è possibile che un esperto possa valutare tali aspetti in maniera molto conservativa (fatto giusto onde non forzare i dati scientifici), per cui è possibile che la conclusione a cui egli giunge sia la non idoneità per svolgere l'analisi genetica. Di contro, altri esperti del Ris di Parma hanno deciso di tentare la suddetta analisi, ottenendo esito positivo”.

Quali conclusioni si potrebbero trarre?

“Ciò - risponde il dott. D’Orio - fa capire quanto sia delicata la posizione degli scienziati forensi. Affinché il sistema scienza supporti efficacemente quello giustizia, per evitare e prevenire i misleading-scientifico-correlati, sarebbe opportuno, specie con reperti biologici di tipo difficile, che l'autorità giudiziaria si serva di team composti da molteplici esperti del settore, i quali non lavorano separati ed in singolo, ma confrontandosi sinergicamente, lavorando insieme su un dato esame richiesto. Questa mi sembra la giusta soluzione per prevenire problemi scientifici e giuridici come quelli oggetto dei fatti”.