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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

caporalatoNon occorreva alcuna legge nuova per combattere il caporalato, un fenomeno spregevole di criminalità che è assimilabile in Italia a quello, sempre più diffuso, della schiavitù. La politica ha consentito per decenni il lavoro sottopagato nelle campagne, sebbene non mancassero le norme, anche drastiche e molto severe, per stroncare disonesti e organizzazioni malavitose che traggono profitti non indifferenti da questo tipo di sfruttamento. Da Paternò a Foggia e Gioia Tauro, da Napoli a Pavia, non c’è regione che non conosca la miseria di un numero incalcolabile di persone costrette a sopportare fatiche da bestie per sopravvivere.

Commentando la nuova legge appena approvata dal Parlamento, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha detto entusiasta “Ora abbiamo più strumenti utili per continuare una battaglia che deve essere quotidiana, perché sulla dignità delle persone non si tratta”; e il ministro della Giustizia Andrea Orlando: “Oggi è una grande giornata per il lavoro, per la tutela dei diritti e le persone più deboli: si è realizzato un obiettivo che da sempre caratterizza le battaglie della sinistra, quello per la dignità dei lavoratori e delle persone che sono più esposte alle forme più odiose di sfruttamento”.

 

Ma l’intermediazione abusiva e lo sfruttamento del lavoro erano già illeciti perseguibili dalla polizia e dall’autorità giudiziaria e la nuova norma non fa altro che prevedere un inasprimento delle pene che sarà difficile applicare. Già quarant’anni fa in molti agrumeti della Sicilia fu registrato l’impiego di manodopera clandestina, con marocchini che di mattino al buio raggiungevano gli aranceti e poi a tarda sera, dopo innumerevoli ore di fatica a raccogliere frutta, finivano ammassati in stamberghe diroccate per trascorrervi la notte. Questi casi non erano ancora assai diffusi e conseguentemente era possibile contrastarli con i mezzi ordinari, tant’è che diverse operazioni furono compiute dai carabinieri con arresti.

L’immigrazione più o meno incontrollata di extracomunitari, moltissimi “clandestini”, ha fatto diffondere questa pratica criminale basata essenzialmente su due metodi: il ricatto e la violenza. Allo sfruttamento negli agrumeti si è quindi aggiunto in Sicilia quello in vivai di piante e coltivazioni di vario genere, nei quali si è rarefatta la presenza di manodopera locale e regolare.

Dire della Sicilia può costituire tuttavia solo un esempio di uno scenario estremamente allarmante e diffuso in tutta Italia, in alcune regioni anche più massicciamente, dove si coltivano con potenti pesticidi e si raccolgono pomodoro, uva, verdure e frutta di ogni genere. Ormai da anni in Lombardia sono visibili nella provincia di Pavia gli eserciti di questi schiavi che prima dell’alba percorrono a piedi le strade, marciando in fila indiana, per raggiungere le coltivazioni dove li indirizzano i caporali; oppure in Puglia sono sotto gli occhi di tutti gli sfruttatori che selezionano i “fortunati” prescelti e li trasportano ammassandoli in furgoncini.

Perché allora non s’è fatto nulla, o s’è comunque lasciato che i negrieri continuassero a operare impunemente? Perché le pene erano inadeguate? E che cosa può far credere che ora, a pene inasprite, ci sia davvero la volontà di difendere la dignità umana e di fare rispettare la legge?

Non bastano annunci per la lotta al fenomeno del caporalato. Non ha senso l’introduzione di nuove norme se le forze dell’ordine, con gli innumerevoli compiti loro assegnati per la difesa dei cittadini, non hanno gli organici e i mezzi adeguati, in sostanza risorse che permettano loro di indagare con i tradizionali metodi investigativi, che comportano per esempio costanti pedinamenti e attività di riscontro e sopralluogo.