Questo sito utilizza cookies tecnici propri e cookies di profilazione di terze parti. Continuando la navigazione accetti.    MAGGIORI INFORMAZIONI

 

Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

minacceNel mese di febbraio 2014 ricevetti messaggi intimidatori per il mio libro “Yara, orrori e depistaggi”, sull’uccisione di Yara Gambirasio. Mentre i carabinieri indagavano, il vice questore aggiunto dott. Francesco Anelli, dirigente del Commissariato di Legnano, sostenne però in un atto che non s’era trattato di minacce, ma della reazione di un benefattore indignato perché avevo utilizzato per scrivere il libro ventimila euro che l’uomo aveva messo a disposizione per scoprire gli assassini della ragazza di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo. L’affermazione, tuttavia, era falsa; né i messaggi del “benefattore” restarono isolati, ma furono accompagnati o seguiti da atti intimidatori, il più grave dei quali fu l’invio di un proiettile, un fatto che secondo lo stesso funzionario non costituiva per me, cronista ultradecano di “nera”, un pericolo. Reagii contro le falsità non sfidando il funzionario a duello, ma documentando per ristabilire la verità.

Il “benefattore” era uno sfasciacarrozze della provincia di Padova che attraverso il quotidiano “Giornale di Bergamo” aveva invitato a fornirgli telefonicamente, utilizzando un numero appositamente attivato, informazioni sul delitto. A che titolo lo facesse non s’è capito. Anche un imprenditore di Legnano aveva messo a disposizione centomila euro, ma destinandoli agli inquirenti per sostenere le loro attività di investigazione. Perché invece quella iniziativa del “benefattore” estremamente curiosa per le sue modalità? E, soprattutto, mirava a filtrare in proprio eventuali notizie o lo faceva per conto di qualcuno? Mistero, come tanti altri fatti bui accaduti a contorno dell’orrendo assassinio di Yara, con un intreccio di storie di magistrati che banchettavano a Bergamo con mafiosi, di omicidi strani commessi nel circondario, fino alle aggressioni subite dalla sorella gemella di Massimo Bossetti, finito in carcere e poi condannato in primo all’ergastolo per la morte di Yara.

Il 26 febbraio 2014 “Ossigeno per l’informazione”, Osservatorio promosso da Federazione della Stampa Italiana e Ordine dei Giornalisti sui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate, sotto il titolo “Bergamo: minacce e censura per un libro sull’omicidio Yara” registrava la vicenda come primo caso dell’anno di minacce a un cronista in Lombardia.

Yara, orrori e depistaggi

Altri segnali continuarono a pervenirmi attraverso grosse “gocce” di lampadari fattemi trovare più volte al mattino sul soglio del mio ufficio, componenti di vetro che in gergo malavitoso, per la loro caratteristica forma, preannunciano lacrime da versare. Ma pazienza: un cronista che nella sua carriera si è occupato di migliaia di omicidi e altrettanti arresti, subendo attentati da parte della mafia, è abituato a ricevere minacce e a sottovalutarle.

Ma perché quell’accanimento? La risposta va cercata fra gli orrori che ho raccontato nel libro.

Si muovevano dunque scagnozzi, non si sa da chi mossi; ma il perché lo intuivo: non avevo tenuto la bocca tappata e qualcuno cominciava a farmela pagare.

La reazione contro le prime minacce, con la presentazione di una querela e gli articoli di stampa, anche attraverso questa rivista “Il delitto”, da me diretta, aveva fatto capire a qualcuno che non m’ero dato per inteso. E infatti nel pomeriggio del 31 ottobre 2014 il postino, insieme con molti altri oggetti di corrispondenza, recapitò nella cassetta del mio ufficio una busta apparentemente innocua a me indirizzata, dalla quale estrassi un biglietto anonimo e, mentre mi accingevo a cestinarla, schizzò fuori un oggetto metallico: un proiettile che appariva chiaramente inesploso. Un fatto di tal genere non può che indurre chiunque a riflettere, a porsi domande, a ricostruire segnali antecedenti sottovalutati, anche compiendo sforzi di memoria. Era di venerdì, praticamente ormai sera; dovetti riflettere per tutta la notte e fino all’indomani, finché riuscii a ordinare degli appunti. Era già sabato. L’indomani, domenica, riassunsi tutto ciò che era di mia conoscenza scrivendo una denuncia; e per presentarla, insieme con tutti i reperti ben protetti, attesi il lunedì e mi recai dai carabinieri del paese dove si trovava il mio ufficio, perché proprio lì avevo ricevuto le minacce più significative, a partire dalle prime rivoltemi dal “benefattore”.

3 - CONTINUA

LEGGI I PRECEDENTI ARTICOLI: Poco ci mancava che l'assassino fossi io - Ventimila euro presi da un cronista biasimevole