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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

Condannato Massimo Bossetti all’ergastolo, il processo per l’uccisione di Yara Gambirasio lascia irrisolti inquietanti misteri delle indagini che già nel 2014 avevo riassunto nel mio libro “Yara, orrori e depistaggi”. Nessuno, né il pubblico ministero né la difesa, aveva spiegato peraltro alla Corte d’Assise di Bergamo i motivi per i quali la polizia aveva ritenuto che Yara fosse viva fino a novanta giorni dalla sparizione della ragazza.

Fa paura questa sentenza, epilogo immaginabile di un processo svoltosi con acceso dibattito sul valore probatorio di un dna eloquente a doppio senso, schiacciante per l’accusa ma immondizia per la difesa: una controversia che ha contrapposto scienziati e lasciato dubbi atroci. Si deve dunque risalire alle modalità investigative che hanno fatto insorgere la questione, perché nella catena delle indagini bastava un solo elemento inquinato per indirizzare poi verso una precisa conclusione; inquinato da chi e perché non è diabolico ipotizzarlo, viste le qualità di taluni che indagavano e tenuto conto degli interessi che c’erano allora per risolvere il caso criminale. S’è voluto lasciare un silenzio tombale su questa dolorosa pagina, con la cautela di mass media che pur spettacolarizzando sugli schermi il delitto si son guardati bene dal vedere con occhio critico in ambienti istituzionali.

Non si può scommettere sull’innocenza o sulla colpevolezza di Massimo Bossetti e solo i successivi gradi di giudizio potranno dirci se l’assassino di Yara è proprio lui o se invece è uno sconosciuto rimasto impunito.

Salvo Bella