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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

femminicidiLe donne vittime di aggressioni e violenze stentano a denunciare i loro persecutori o al limite ritrattano le accuse o cercano persino di giustificarli. Sono spesso succubi e per questo finiscono col trasformarsi persino in complici degli aggressori.

L’8 gennaio a Messina una ragazza di 22 anni, Ylenia Grazia Bonavera, è stata ricoverata al Policlinico con ustioni sul 13% del corpo: l’ennesimo caso di violenza su una donna. La vittima, nonostante le sue gravi condizioni, non è comunque in pericolo di vita e ha trovato persino la forza di denunciare il suo ex fidanzato Alessio Mantineo, arrestato il giorno successivo con l’accusa di tentato omicidio.

A suo carico ci sarebbe un video girato da alcune telecamere di sicurezza presso un benzinaio nei pressi dell’abitazione della ragazza: in esso si vede un giovane (presumibilmente Mantineo) acquistare una tanica di benzina. Ma poco dopo Ylenia ha ritrattato la sua versione dei fatti, sostenendo l’innocenza del suo ex.

Francesca Persi
Francesca Persi è nata nel 1985 a Civitavecchia e vive a Roma. Ha conseguito lauree in Educatore Professionale Coordinatore di Servizi, nonché in Psicologia, con specializzazione in Scienze Criminologico-forensi. Ha svolto per diversi anni attività rieducative di volontariato presso il carcere di Rebibbia.

Compete agli inquirenti accertare se il giovane accusato sia effettivamente colpevole o meno, ma la domanda che sorge spontanea è: perché? perché una giovane donna nelle sue condizioni critiche e dopo l’aggressione subita, in cui poteva anche rimetterci la vita, prima accusa e poi ritratta e grida l’innocenza del suo ex compagno?

Il caso di Ylenia provoca particolare indignazione per le modalità brutali della violenza: bruciare una donna, una persona, significa annullarla completamente e negare persino la sua esistenza. Tuttavia il tentato omicidio di Ylenia Grazia Bonavera è solo uno dei numerosi casi che vedono vittime le donne. Solo in Italia, 116 (stando ai dati Istat) sono state le donne uccise nei primi dieci mesi dello scorso anno e nella stragrande maggioranza dei casi l’autore del delitto è sempre un familiare, per lo più il compagno o ex compagno. In diversi casi si riscontrano denunce per maltrattamenti precedenti al delitto, ma la maggioranza degli episodi sembra frutto di raptus del momento, in quanto non esistono testimonianze di atti violenti precedenti all’interno della coppia.

Esaminando le casistiche sui casi di femminicidio e violenza domestica, si rileva un’anomalia che purtroppo, in concomitanza con altri fattori, costa spesso vite umane: la discrepanza fra la crescita del numero di tali episodi e lo scarso numero di denunce precedenti. L’elemento che più di ogni altro balza agli occhi è soprattutto una sorta di complementarietà caratteriale fra aggressore e vittima. Più il carnefice prevarica sia a livello fisico che sessuale e soprattutto psicologico, più la vittima si chiude in se stessa, si svaluta e non reagisce come dovrebbe ai soprusi che subisce, cadendo in una spirale di violenza e aggressività che la costringe a sopprimere in un primo momento la propria personalità e la propria identità, fino a giungere all’epilogo più tragico che tutti ben conosciamo.

Molte donne arrivano, come nel caso di Ylenia, persino a ritrattare eventuali e comunque quasi sempre tardive denunce contro i loro uomini e questo non fa che aggravare il livello degli abusi.

Molti di questi episodi coinvolgono protagonisti di una certa età e con precedenti vissuti sentimentali alle spalle, in cui però non si sono accertati soprusi e violenze. Sembra esserci dunque un connubio di personalità particolare, che fa evolvere una relazione nel modo più tragico e deprecabile, e di durata e importanza della relazione. L’uomo non uccide e non aggredisce una donna che non sente “sua proprietà”; con il tempo e l’accondiscendere della partner anche in episodi di percosse e umiliazioni gravi, l’uomo acquista potere su di lei e si sente sempre più in diritto di trattarla come crede e gli fa più comodo, almeno fin quando lei subisce senza opporsi. Tutto però ha un limite: cosa accade quando questo si supera?

C’è il momento in cui la violenza arriva all’apice e si conclude con l’atto omicida: in molti casi il delitto esplode quando la relazione di coppia viene conclusa (soprattutto se per volontà della donna) e anche a livello psicologico non c’è più complementarietà. La donna si ribella e l’uomo non accetta che colei che considera un suo possesso possa volerlo abbandonare o lo abbia abbandonato; e pur di non farla andare via da lui la annienta. La paura dell’abbandono scatena le peggiori violenze. Il profilo psicologico degli uomini violenti enfatizza infatti, a dispetto delle apparenze, alcuni aspetti di fragilità emotiva comuni a tutti gli uomini violenti e cioè l’incapacità di sopportare tradimenti o ancor peggio l’abbandono; questa incapacità risulta mascherata dall’esigenza, che cresce con il consolidarsi della relazione, di sentirsi padroni del rapporto, di loro stessi e della loro compagna e quando l’equilibrio di facciata di queste relazioni si rompe ecco che questi uomini si trasformano in aggressori senza scrupoli. 

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