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Gruppo Edicom

 

direttore Salvo Bella         
       
 

difesa negataIl Dna ritenuto prova regina può essere frutto di una contaminazione, ma per la legge non c'è l'obbligo di revisione del processo, in violazione di principi costituzionali. Il dott. Eugenio D'Orio, biologo forense e criminalista, ricercatore in genetica forense dell’Università di Copenhagen, è autore di due consulenze tecniche in un caso con condanna definitiva, ma la questione riguarda, com'è noto, anche processi tuttora aperti, come quello a carico di Massimo Giuseppe Bossetti per l'omicidio di Yara Gambirasio.

Il diritto di un soggetto sottoposto a condanna definitiva a provare la propria innocenza è sancito nel dispositivo dell’art. 24 della Costituzione e a tal proposito il legislatore prevede l’istituto della revisione. Tuttavia ad oggi è emersa una carenza legislativa che va in contrasto col principio costituzionale.

In un caso attuale c’è un soggetto condannato in via definitiva per omicidio in base alla cosiddetta “prova regina” del Dna. Nello specifico, il Dna del condannato fu rinvenuto su parte del corpus delicti utilizzato per commettere l’omicidio. La sentenza di condanna è passata in giudicato, nonostante l’imputato si sia sempre dichiarato estraneo al fatto-reato contestatogli.

 

Basandosi sulle nuove nozioni conoscitivo-scientifiche, la difesa del condannato ha prodotto due consulenze tecniche a mia firma. Nella prima è prodotta una dimostrazione fattuale che il Dna ritenuto “prova regina” della colpevolezza non è altro che una contaminazione accidentale. Nella seconda, in ragione di revisione che si basa sulla produzione di “nuove prove” da parte della difesa, ho individuato alcuni dei reperti sequestrati, all’epoca dei fatti, da parte della Procura, ma mai analizzati nei gradi di merito. Parte di questi reperti, attualmente ancora disponibili presso l’ufficio corpi di reato, costituiscono fonte e base delle nuove prove scientifiche in favore del condannato, in quanto gli stessi reperti, per le posizioni nelle quali furono acquisiti, furono sicuramente oggetto di contatto con l’offender e perciò hanno intrinseche le sue tracce biologiche.

Dunque la difesa ha proceduto mediante la presentazione dell’istanza in cui si dimostrava l’esistenza della “non prova” dalla quale scaturì la condanna definitiva e ha chiesto l’esame dei reperti in uso alla Procura.

Da qui è emersa la lacuna legislativa in materia di diritto, in quanto nessuna norma impone al Procuratore di accettare le richieste avanzate dalla difesa, negando di fatto al condannato la possibilità di utilizzare il mezzo di impugnazione della revisione.

“Ciò è un altro segno del sistema che – commenta il giudice Gennaro Francione – preferisce avere colpevoli una volta incriminati, piuttosto che assolvere. Gli altri segni del sistema colpevolista: verdetto a maggioranza mentre una volta che un giudice di un collegio decida per l'assoluzione dovrebbe vincere lui, essendo quella decisione singola ragionevole dubbio di colpevolezza; la possibilità del P. M. di appellare un'assoluzione (ragionamento idem a parte il principio da affermare in generale che non si può impugnare un verdetto di assoluzione); l'esistenza stessa del processo indiziario da mettere fuorilegge per il dubbio in sé che genera della colpevolezza dell'indiziato di turno in mancanza di prove schiaccianti o di confessione”.

Il giudice Francione evidenzia che “sul punto rilevato dal dott. D'Orio ci sarebbe da sollevare questione d'incostituzionalità: 1) è violato l’art. 3, 2° co., secondo il quale per una reale uguaglianza tra i cittadini devono essere rimossi ostacoli, che nel caso della giustizia si colgono nell’impossibilità di prendere in considerazione elementi sopravvenuti per far dichiarare innocente chi ritenuto colpevole; 2) violazione dell'art. 111, che assicura una reale parità tra accusa e difesa; 3) art. 24, dove afferma Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. <omissis> La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. L'omissione di una previsione legislativa sul modus procedendi in caso di revisione che coinvolga nuovamente accertamenti della Procura si risolve in attentato alla difesa, alla Costituzione e alla libertà dei cittadini”.

Anche il noto giudice Edoardo Mori, in diverse sue pubblicazioni, afferma: “In Inghilterra è molto frequente la revisione di processi quando si scopre che una metodologia impiegata da un laboratorio non era adeguata al caso. In paragone la situazione italiana è a dir poco penosa. Preso atto di ciò, sarà importante lavorare in senso produttivo, onde colmare tale lacuna legislativa attualmente intrinseca nel sistema giudiziario e assicurare e garantire così il diritto alla difesa dei cittadini”.